[segue dalla scorsa settimana] un articolo molto interessante del collega Maurizio Zacchi, direttore della Cyber Academy di CyberGuru: buona lettura! |
“benessere digitale” L’insieme di questi fenomeni ci porta ad assumere quello stato che, Marco Fasoli , nel suo libro “Benessere digitale” (di cui consiglio vivamente la lettura), definisce di “vigilanza permanente“, che ci induce ad essere sempre connessi. Si genera quindi una condizione di iperconnessione, favorita dall’evoluzione stessa delle tecnologie, che rende abituali alcuni comportamenti come quello di interrompere frequentemente ciò che si sta facendo per controllare le notifiche o per vedere cosa accade all’interno dei social. Sempre traendo spunto dal lavoro di Marco Fasoli, possiamo sostenere che la vigilanza permanente è favorita da una sorta di predisposizione naturale che ci portiamo dietro dai tempi in cui l’umano si trovava spesso nello scomodo ruolo della preda. In quella condizione era portato spesso ad interrompere le proprie attività per controllare l’ambiente circostante alla ricerca di potenziali minacce, predisponendosi alla reazione immediata, spesso costituita dalla fuga. Comportamenti che ritroviamo ancora in molte specie animali che, nel ciclo naturale, vivono la condizione di potenziali prede. Questa dinamica stimolo/reazione immediata la lasciamo in sospeso perché tornerà utile quando tireremo le somme rispetto alla relazione tra benessere e sicurezza cibernetica. Abbiamo già detto che le tecnologie tendono ad assecondare l’adozione di tali modelli comportamentali. Per fare alcuni esempi concreti, la iperconnessione viene favorita da una diffusione sempre più capillare delle reti, mentre la tendenza all’interruzione è insita nel multitasking, che nei dispositivi attuali viene agevolata dal passaggio rapido e immediato da una finestra ad un’altra. “non solo stress” Lungi da me evocare scenari in cui l’evoluzione tecnologica sia funzionale solo a renderci tutti più stressati e vulnerabili: lo sviluppo tecnologico ci offre grandi opportunità per migliorare il nostro stato di benessere. Le tecnologie digitali ci permettono ad esempio di fruire di esperienze immersive di intrattenimento, che possono aiutarci ad alleviare lo stress, stimolando le nostre emozioni positive, in modo molto personalizzato, anche rispetto ai modi e ai tempi di fruizione. L’effetto “rilassante” di queste esperienze può essere però compromesso proprio dalla tendenza ad una fruizione caratterizzata da frequenti interruzioni, allo scopo di controllare cosa accade all’ambiente circostante. “stress e Cybersecurity” Dopo aver girovagato nel concetto di stress digitale, è venuto il momento di tornare sulla relazione che lo stress ha con la Cybersecurity, cercando di comprendere come tutto ciò incida sulla vulnerabilità dell’utente digitale e come questa condizione venga abilmente sfruttata dalle organizzazioni criminali. Abbiamo già detto che una condizione di stress è di per sé una condizione non ottimale che comporta, tra le tante cose, disturbi della concentrazione e quindi una tendenza alla distrazione che può portarci a sottovalutare alcune evidenze che ci dovrebbero indurre alla diffidenza nei confronti di messaggi inaspettati che ci spingono verso un’azione immediata. Questo effetto è certamente amplificato dallo stato di vigilanza permanente, dal multitasking e soprattutto da questa predisposizione alla reazione immediata di cui abbiamo parlato in precedenza. I criminali cyber sono ad esempio molto abili a fare leva su questa predisposizione, caricando le loro comunicazioni di un senso di urgenza collegato a scadenze molto ravvicinate. Nelle comunicazioni truffaldine si trovano spesso contenuti allarmanti, che attraggono l’attenzione della preda e la sollecitano ad agire. Inutile dire che per uscire da questo circuito sarebbe necessario agire sui fattori di stress, e quindi cercare di ridurre questo senso di vigilanza permanente. Va anche detto che questo meccanismo di iperconnessione, in ambito lavorativo, è stato favorito anche dalle stesse aziende, più o meno consapevolmente. Non sempre questo paradigma di iperconnessione è il frutto di una precisa strategia aziendale, ma in molti casi non è altro che l’aderenza inconsapevole ad un modello comunicativo che permea tutte le dimensioni della nostra società. Ho intenzione di scrivere ancora sulle possibili vie di uscita da uno stato di stress digitale. Adesso vorrei soffermarmi sul circuito stimolo/risposta immediata, che è l’effetto più pericoloso di questa condizione. Il nostro ruolo di formatori, in ambito Cyber Security Awareness, è proprio quello di lavorare a ricondizionare questo circuito, modificando i comportamenti degli utenti digitali. In una situazione in cui gli utenti digitali sono effettivamente delle potenziali prede, l’attenzione all’ambiente circostante è comunque da considerarsi una buona pratica, ma dobbiamo assumere che la reazione allo stimolo non è quella di un agire rapido e impulsivo, ma al contrario di un agire prudente e riflessivo. Un po’ come accade in natura, nel caso di alcune prede, che invece di fuggire si fingono morte, in qualche modo anche l’utente digitale deve resistere alla tentazione di agire impulsivamente, sotto la spinta della pressione ingannevole esercitata dal criminale, attivando il proprio spirito critico, che fa parte delle competenze essenziali per chi opera nella dimensione digitale. L’utente consapevole deve sapere riconoscere questa pressione ad agire e la deve usare per avviare una riflessione, osservando l’ambiente digitale da un diverso punto di vista. |